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Corte d'Appello di Bologna > Contratti a termine
Data: 12/07/2004
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 353/04
Parti: INAIL \ Iadarola M.G.
NULLITA' DI CONTRATTO A TERMINE - DECORRENZA DEL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEI DANNI: DATA DI OFFERTA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA. -ATTO DI IMPUGNAZIONE DI LICENZIAMENTO CON RICHIESTA DI REINTEGRA: CONFIGURABILITA' DELL'OFFERTA.


In un caso di nullità accertata di un contratto e termine, la Corte d'Appello di Bologna, quale giudice del rinvio, veniva chiamata a dare applicazione al principio di diritto sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione 8 ottobre 2002 n. 14411 secondo cui la società "è tenuta al pagamento del risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute dalla lavoratrice dalla data di offerta delle prestazioni lavorative a quella della effettiva riammissione in servizio". Il Tribunale di Firenze, con sua sentenza, aveva infatti confermato la sentenza del Pretore della stessa città condannando la società al pagamento "delle retribuzioni maturate dalla data di cessazione del rapporto (15.6.1996) fino a quella della sua prosecuzione" e tale parte della sentenza era stata cassata dal Supremo Collegio. I giudici bolognesi, valutando il caso concreto, accertavano che il recesso era stato impugnato, in via stragiudiziale, con raccomandata 5.8.96 con la quale la lavoratrice, oltre da impugnare "il licenziamento di fatto … ravvisato nella risoluzione del rapporto … alla scadenza del termine essendo quest'ultimo illegittimo e quindi come non apposto" invitava la società a procedere "alla sua immediata reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato od altro equivalente" precisando che, in mancanza di tale riammissione in servizio, si sarebbe rivolta all'autorità giudiziaria. Osserva la Corte che se "l'offerta della prestazione del lavoratore i fini della costituzione in mora del datore di lavoro deve ritenersi implicitamente ricompresa nell'azione in giudizio diretta all'accertamento dell'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro ed alla condanna al pagamento delle retribuzioni dovute per effetto della continuazione del rapporto" (Cass. 18.5.1995, n. 5482) a maggior ragione una siffatta offerta è resa esplicita dalla richiesta del lavoratore di essere riammesso in servizio, con la contestuale precisazione di essere determinato a promuovere un apposito giudizio a tale fine. Conseguentemente la società veniva condannata al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni che la lavoratrice avrebbe percepito dal 5.8.1996 sino alla riammissione in servizio




Corte d'Appello di Bologna > Contratti a termine
Data: 22/11/2004
Giudice: Schiavone
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: Non disponibile
Parti: Sandra F. / Ministero della Pubblica Istruzione / Provveditorato agli Studi di Parma
CAUSALE DI CONTRATTO A TERMINE PER PUNTE STAGIONALI: LEGITTIMITA’ - SOSTITUZIONE CD. “A CASCATA”- PROVA DELLO SCORRIMENTO: NECESSITA’ –DECORRENZA DEL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEI DANNI: DATA DI OFFERTA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA.


In conseguenza della declaratoria di nullità di due contratti a termine una lavoratrice aveva ottenuto dal Tribunale di Parma una condanna alla riammissione al posto di lavoro con pagamento delle retribuzioni omesse dal primo contratto fino al definitivo reinserimento aziendale. Il primo giudice aveva rifiutato come idoneo un accertamento dell’Ispettorato del lavoro in ordine alla sussistenza dei presupposti per la concessione dell’autorizzazione per punte stagionali, non effettuato in loco ma svolto solo sulla base di verifiche statistiche di compatibilità economico settoriale. Aveva inoltre ritenuto illegittimo un secondo contratto motivato dalla necessità di sostituzione di una dipendente in aspettativa generica prevista dal contratto collettivo, negando ricorressero i presupposti contrattuali per dar luogo all’aspettativa generica. La Corte d’Appello di Bologna, condividendo solo parzialmente le motivazioni del giudice di primo grado, coglie l’occasione per pronunciarsi su una serie di temi connessi alla legislazione, vecchia e nuova, in materia di contratti a tempo determinato. Appena un breve cenno meritano le le tematiche - oggi superate dal dlgs. n. 368/2001 - in tema di intervenuta presunta scadenza (in coincidenza con l’attuazione della riforma del collocamento) delle disposizioni normative che avevano previsto la causale per “punte stagionali” e quelle in tema di non imputabilità alla società datrice della (eventuale) illegittimità dell’atto amministrativo di autorizzazione: su tali punti la Corte ha respinto la tesi del lavoratore, accolte invece in primo grado. Riteniamo peraltro più importante soffermarci sulla questione relativa alla mancata indicazione, nel secondo contratto a termine, dello scorrimento operato. Secondo la Corte d’Appello il datore di lavoro è libero nel determinare il tipo di organizzazione aziendale, sicché la sostituzione a scorrimento non entra a far parte di un contratto destinato all’assunzione a termine (v. Cass. n. 3033/1990). Ciò peraltro non esime il datore di lavoro dall’onere di dimostrare in giudizio lo scorrimento stesso: a fronte, infatti, del rilievo (non contestato) che le mansioni della ricorrente non coincidevano con quelle della lavoratrice assente con diritto alla conservazione del posto, è necessaria la prova di una correlazione (di tipo causale) tra l’attività del sostituto e quella del sostituito. In ipotesi di sostituzioni successive cd. “per scorrimento” o “a catena” occorre infatti, secondo la Corte di Cassazione, “una correlazione tra assenza ed assunzione a termine, nel senso che la seconda deve essere realmente determinata dalla necessità creatasi nell’azienda per effetto della prima” (Cass. n. 11699/2003; conf. n. 3033/1990; n. 1143/1986; n. 2729/1986; n. 4357/1986; n. 4360/1986; n. 1675/1984). Mancando tale prova non potrebbe più parlarsi di sostituzione per scorrimento, ma di mera coincidenza temporale tra la sostituzione interna del dipendente assente e l’assegnazione del sostituto ad una posizione nient’affatto correlata a quella lasciata scoperta del dipendente assente. Infatti secondo l’insegnamento della Suprema Corte “Nel processo del lavoro le parti concorrono a delineare la materia controversa, di talché, ove i fatti costitutivi del diritto dedotto dal ricorrente non siano oggetto di specifica contestazione da parte del resistente (costituito) i fatti stessi sono da considerarsi esistenti, perché restano estranei alla materia del contendere ed al conseguente potere di accertamento del giudicante. Tale principio è applicabile anche al giudizio di secondo grado, avendo l’appellato, pur se non soccombente, l’onere di riproporre la contestazione, in modo espresso, con la memoria di costituzione” (Cass. n. 6663/2004; Conf. n. 15746/2003; n. 535/2003; n. 17665/2002). Ed in presenza di una – tuttora vigente – presunzione di legge sulla durata a tempo indeterminato, l’onere della prova della sussistenza dei presupposti non può gravare se non a carico del datore di lavoro. Sul piano patrimoniale la Corte d’Appello ha confermato un suo recente precedente (Sentenza del 6 luglio 2004, in RGL News n. 5/04) ove - chiamata come giudice del rinvio a dare applicazione al principio di diritto sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione 8 ottobre 2002 n. 1441 secondo cui la società “è tenuta al pagamento del risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute dalla lavoratrice dalla data di offerta delle prestazioni lavorative a quella della effettiva riammissione in servizio” - ha fatto retroagire il diritto al pagamento non già alla data di notifica del ricorso, bensì alla prima lettera stragiudiziale di formale offerta della prestazione lavorativa (prodotta in giudizio), nel caso di specie relativa al secondo contratto a termine




Corte d'Appello di Bologna > Contratti a termine
Data: 02/02/2006
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 731/05
Parti: Senaf S.r.l. – Tecniche Nuove S.p.A. – Contents S.r.l. - E.T.M. S.r.l. / Addario D. M.
CONTRATTO A TERMINE – RIFERIMENTO GENERICO AD ACCORDO INTERCONFEDERALE CHE PREVEDE PIU’ CAUSALI- SUSSISTENZA DI RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO


Il Tribunale di Rimini ha respinto la richiesta di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di un dipendente, ritenendo che il contratto fosse stato legittimamente stipulato a termine – per una delle ipotesi, aggiuntive rispetto a quelle dell’art. 1 legge 230/62, previste, ai sensi dell’art. 23 legge 56/97, dall’art. 10 dell’Accordo Interconfederale 18.12.88 – e per la durata di sei mesi, nonostante che nella copia in suo possesso fosse indicato un termine trimestrale, rilevando a tale riguardo che la durata semestrale del termine pattuito si ricavava: da un telefax dell’agosto 1996 con il quale il lavoratore aveva dichiarato la propria disponibilità ad essere assunto per mesi 6 più 6; dall’indicazione del termine semestrale nella successiva lettera di assunzione, consegnata al dipendente dopo la sottoscrizione del contratto; dalla comunicazione effettuata dalla società all’ufficio di collocamento; dall’indicazione, nel contratto, di un periodo di prova di tre mesi, che contrastava con un termine di pari durata perché lo avrebbe interamente esaurito. Il primo giudice ha poi ritenuto legittima la proroga – oralmente comunicata al lavoratore – a fronte dell’incremento degli ordini verificatisi agli inizi del 1997, in quanto ha ravvisato negli stessi le ragioni contingenti ed imprevedibili richieste dall’art. 2 della legge 230/62, ed ha tratto conferma del consenso del lavoratore dalla disponibilità da questi manifestata – nell’agosto precedente – a lavorare per un periodo di mesi 6 più 6; ha quindi ravvisato all’1.9.97 la naturale scadenza del rapporto e non un illegittimo recesso della società. A seguito di impugnazione della sentenza da parte del lavoratore, la Corte d’Appello di Bologna ha in primo luogo osservato che, pur sussistendo astrattamente, in presenza di determinate condizioni, la possibilità di stipulare un contratto a termine anche in applicazione di un accordo interconfederale (Cass. 25.2.2005 n. 4025; cfr. pure Cass. 23.3.2002 n. 4199) nel caso specifico la società aveva richiamato, nel contratto di assunzione, l’art. 10 dell’Accordo Interconfederale del 18.12.1988, senza peraltro indicare di quale delle tre ipotesi – A), B) o C) – previste da tale articolo ricorresse nella fattispecie. A questo si aggiunga che l’indicazione di un termine trimestrale nel contratto di assunzione sottoscritto dalle parti in possesso del lavoratore non può ritenersi frutto di un errore, desumibile dalla diversa indicazione di un termine semestrale nella copia dello stesso contratto in possesso della società datrice di lavoro, soprattutto ove si consideri che quest’ultima è stata corretta dopo la sottoscrizione, senza avvisare il lavoratore. Né può rilevare – sempre secondo la Corte – la disponibilità originariamente prestata dal lavoratore con il fax del 6 agosto 1996 …” perché nessuna delle parti ha mai dedotto che il contratto poi sottoscritto il 2.9.1996 fosse la mera riproduzione di un contratto già perfezionato” in quanto una simile ricostruzione teorica “oltre a sottolineare l’assenza di una causa legittimante la valida apposizione di un termine inferiore a quello annuale oggetto di dette intese , soprattutto rende non solo prevedibile, ma addirittura prevista, la successiva proroga, con la conseguente violazione (…) di quanto disposto dagli artt. 1 e 2 legge 230/62”. Conseguentemente la Corte ha riformato la sentenza di primo grado, stabilendo la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a partire dal 2.9.1996 e riconoscendo il diritto del lavoratore a percepire, a titolo risarcitorio, un importo pari alle retribuzioni spettanti a far data dalla lettera con cui, contestando la comunicazione della cessazione del rapporto, ha specificatamente offerto la sua prestazione lavorativa.